In laboratorio l'ibernazione artificiale non è fantascienza. ''Ci aiuterà, dall'Alzheimer alle missioni spaziali'' / In the laboratory, artificial hibernation is not science fiction. '' It will help us, from Alzheimer's to space missions ''

In laboratorio l'ibernazione artificiale non è fantascienza. ''Ci aiuterà, dall'Alzheimer alle missioni spaziali'' / In the laboratory, artificial hibernation is not science fiction. ''It will help us, from Alzheimer's to space missions''

Segnalato dal Dott.  Giuseppe Cotellessa /

Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa



Coricarsi. Chiudere gli occhi. Sperimentare il progressivo intorpidimento di membra e mente. E svegliarsi settimane, mesi o anni più tardi, più vivi e freschi di prima. Uno scenario visto in tantissime opere di fantascienza – da Interstellar a 2001: Odissea nello spazio, passando per Avatar e Il dormiglione –  che sembra però essere molto più concreto di quanto si possa pensare. Gli scienziati lo chiamano ibernazione, i profani lo conoscono come letargo. Perché, alla fine, di questo si tratta: una condizione caratterizzata da una riduzione estrema del metabolismo e della temperatura corporea, che consente di sopravvivere a periodi più o meno prolungati di assenza di risorse. Una sorta di austerity fisiologica, insomma: un superpotere che molti mammiferi – scoiattoli, marmotte, topi, orsi – possiedono e attuano spontaneamente. E che diversi scienziati in tutto il mondo cercano di replicare, estendendolo artificialmente a specie non ibernanti. Obiettivo ultimo, gli esseri umani. A occuparsi del tema, in Italia, è l’équipe di Matteo Cerri, neuroscienziato dell’Università di Bologna e collaboratore dell’Agenzia Spaziale Europea, che in un recente intervento al Festival della Mente di Sarzana ha raccontato lo stato dell’arte e illustrato i possibili scenari futuri.

Cosa succede al cervello di chi va in ibernazione?

"La comprensione di quello che accade nel cervello durante l’ibernazione è uno degli aspetti più complessi e delicati dell’intero meccanismo. Sappiamo con certezza che l’ibernazione, dal punto di vista cerebrale, è molto diversa da stati come il coma, il sonno o l’anestesia, nei quali il cervello esprime una cosiddetta attività a onde lente: i neuroni della corteccia cerebrale, sostanzialmente, sincronizzano, ossia perdono la capacità di effettuare più operazioni diverse nello stesso momento. Durante lo stato di ibernazione, invece, i neuroni mantengono la desincronizzazione, ma il ritmo delle operazioni risulta molto rallentato: per questo motivo, riteniamo che gli animali che sono in ibernazione sperimentino un tempo soggettivo estremamente dilatato. Un’altra caratteristica che è stata osservata è che i neuroni tendono progressivamente a disconnettersi, per poi ricostruire al risveglio le connessioni interrotte e recuperare la plasticità precedente. E ancora: dal punto di vista biochimico, nel cervello degli animali ibernati si osserva la cosiddetta iperfosforilazione della proteina tau, un fenomeno che avviene anche nel cervello di chi soffre del morbo di Alzheimer. Tutte queste modificazioni ritornano poi rapidamente alla normalità poco dopo il risveglio."Comprendere i meccanismi naturali che inducono all’ibernazione è un passaggio cruciale per tentare di riprodurre artificialmente il fenomeno. Come fanno gli animali a 'capire' che è il momento di andare in letargo?
"Anche in questo caso, si tratta di un fenomeno molto complesso. Sostanzialmente, il cervello attiva i meccanismi che portano all’ibernazione quando si rende conto di trovarsi in una condizione di bilancio energetico negativo, cioè quando l’organismo spende più energia di quanta ne abbia a disposizione. Indurre tale condizione in laboratorio, per animali ibernanti, è relativamente semplice: si può usare la cosiddetta strategia del work for food, in cui l’animale, per procurarsi il cibo, deve consumare un po’ più di energia rispetto a quella che riceve dal cibo stesso. Si può anche simulare l’arrivo dell’inverno, con alcune ore di digiuno in un ambiente leggermente freddo per innescare il torpore."Da diverso tempo lei e la sua équipe lavorate sull’induzione artificiale dell’ibernazione in non-ibernanti. Come si fa? E cosa avete scoperto?


"Siamo riusciti alcuni anni fa, sostanzialmente, a indurre uno stato di letargo artificiale nei ratti, animali che in natura non possiedono questa capacità. La nostra idea è stata di ingannare con un farmaco alcuni neuroni che si trovano in una specifica area cerebrale, il raphe pallidus. Questi neuroni controllano la quantità di energia che il nostro corpo consuma, e, inducendoli a farci consumare di meno, si innesca uno stato molto simile al letargo."E gli esseri umani?


"Prima di pensare a una possibile transazione all’essere umano – che tra l’altro aprirebbe interrogativi etici ancora irrisolti – dobbiamo ancora comprendere molti aspetti dell’ibernazione. Primo fra tutti, capire quanto può durare questo status: teoricamente sembrerebbe che non ci siano limiti, ma non conosciamo eventuali effetti collaterali che potrebbero comparire dopo lunghi periodi di ibernazioni. Un altro aspetto delicato riguarda il risveglio: sappiamo ancora poco dei meccanismi che il cervello mette in atto per indurre l’uscita dal torpore. Solo dopo aver compreso questi e altri aspetti si potrà iniziare a prendere in considerazione l’applicazione della tecnica agli esseri umani."Perché lo facciamo? Quali sono le applicazioni?


"Le possibili applicazioni sono molteplici. In campo medico, anzitutto: l’ibernazione artificiale potrebbe essere utilizzata dai chirurghi durante gli interventi più complessi, per permettere ai diversi organi di sopravvivere anche in considerazioni di scarsa disponibilità di ossigeno. Oppure – ma è un’ipotesi al momento molto lontana – si potrebbe pensare di usare la tecnica nei pazienti in attesa di trapianti. Più realisticamente, lo studio dell’ibernazione potrà aiutare meglio a comprendere, tra le altre cose, i meccanismi alla base del morbo di Alzheimer – in virtù delle analogie descritte in precedenza –: sembra possibile ipotizzare un rallentamento della malattia in soggetti ibernati. La stessa ipotesi si può formulare, tra l’altro, anche per la crescita tumorale. Anche nel campo della ricerca spaziale le applicazioni sono molto promettenti: la possibilità di indurre l’ibernazione negli astronauti consentirebbe di affrontare lunghi viaggi spaziali aggirando il problema delle scorte di cibo e della schermatura dai raggi cosmici nocivi, da cui l’ibernazione sembra costituire una sorta di protezione." 



ENGLISH

Lie down. Close eyes. Experiment with the progressive numbness of the limbs and minds. And wake up weeks, months or years later, more alive and fresh than before. A scenario seen in so many science fiction works - from Interstellar 2001: Space Odyssey, passing through Avatar and The Sleeping Beauty - which seems to be much more concrete than you might think. Scientists call it hibernation, profaners know it as lethargic. Because, in the end, this is a condition characterized by an extreme reduction in metabolism and body temperature, which allows to survive more or less prolonged periods of absence of resources. A sort of physiological austerity, in short: a superpower that many mammals - squirrels, marmots, mice, bears - possess and act spontaneously. And that several scientists around the world are trying to replicate, extending it artificially to non-hibernating species. Last goal, human beings. In Italy, he is the team of Matteo Cerri, a neuroscientist at the University of Bologna and a collaborator of the European Space Agency, who in a recent interview with the Sarzana Mind Festival has told the state of art and illustrated possible future scenarios.What happens to the brain of those who are in hibernation?"Understanding what's happening in the brain during hibernation is one of the most complex and delicate aspects of the whole mechanism. We know for sure that hibernation, from a cerebral point of view, is very different from states like coma, sleep or anesthesia, in which the brain expresses a so-called slow wave activity: cerebral cortex neurons basically synchronize or lose the ability to perform multiple operations at the same time. During hibernation, however, neurons maintain desynchronization, but the pace of the operations is very slow: for this reason, we believe that the animals that are in hibernation experience an expansive subjective time. Another feature that has been observed is that neurons tend to progressively disconnect, then reconstruct the interrupted connections and retrieve the previous plasticity. To the biochemical point of view, in the brain of hibernated animals, the so-called hyperphosphorylation of the tau protein is observed, a phenomenon also occurring in the brain of those suffering from Alzheimer's disease. All these changes then return to normal shortly after awakening. "Understanding the natural mechanisms that induce hibernation is a crucial step in trying to artificially reproduce the phenomenon. How do animals 'understand' it is time to go to hibernation?"Even in this case, this is a very complex phenomenon. Basically, the brain activates the mechanisms that lead to hibernation when it finds itself in a negative energy balance state, ie when the body spends more energy than It is relatively simple to induce such a condition in the laboratory for hibernating animals: the so-called work for food strategy can be used, in which the animal needs to consume a little more energy than to obtain food to what it receives from the food itself. It can also simulate the arrival of winter, with a few hours of fasting in a slightly cold environment to trigger torpor. "For some time, she and her team worked on the artificial induction of hibernation in non-hibernates. How do you do it? And what did you find out?"We did a few years ago, basically, to induce a state of artificial lethargy in rats, animals that naturally do not possess this ability. Our idea was to fool some neurons with a drug in a specific cerebral area, raphe pallidus These neurons control the amount of energy that our body consumes, and, inducing us to consume less, triggers a state very similar to lethargy. "And humans?"Before thinking about a possible transaction with the human being - which would open up still unresolved ethical questions - we still have to understand many aspects of hibernation. First of all, understand how long this status can last: theoretically it would seem that there are no but we do not know any side effects that may appear after long periods of hibernation. Another delicate aspect is the awakening: we still know little about the mechanisms the brain is taking to induce the exit from the torpor. other aspects can begin to take into account the application of technology to humans. "

Why do we do it? What are the applications?

"In the medical field, first of all: artificial hibernation could be used by surgeons during the most complex interventions to allow the various organs to survive even in low oxygen availability, or - but it is a ' hypothesis at a very far moment - you might think of using the technique in patients waiting for transplants. More realistically, the hibernation study will help better understand, among other things, the mechanisms underpinning Alzheimer's disease - virtually of the analogues described above -: it seems possible to hypothesize a slowing down of the disease in hybrid patients.The same hypothesis can be made, for example, for tumor growth.In the field of spatial research applications are very promising: the possibility to induce hibernation in astronauts would allow long distances in space travel the problem of food stocks and shielding from harmful cosmic rays, from which hibernation seems to be a kind of protection. "

Da:

https://www.galileonet.it/2017/09/laboratorio-libernazione-artificiale-non-fantascienza-ci-aiutera-dallalzheimer-alle-missioni-spaziali/?utm_campaign=Newsatme&utm_content=In
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